LA PROSTATA NELLA STORIA

 

Oggi anche i quotidiano parlano di prostata, presentando periodicamente notizie di scoperte sensazioni riguardo la prostata, ma poco si conosce sul percorso che la medicina ha dovuto percorrere per arrivare prima all'identificazione in termini anatomici della prostata e poi alla comprensione delle sue funzioni, dei suoi rapporti ormonali e sul suo sviluppo embriologico. Infatti Ippocrate stesso ignorava l'esistenza della prostata, ma come clinico intuì che in certe situazioni di disturbi minzionali la causa fosse ostruttiva. Ippocrate identificò tale causa nel collo vescicale come riporta nel Corpus Hippocraticum: "quando un malato urina sangue e grumi, soffre di stranguria e ha dolori all'ipogastrio e al perineo, ciò vuol dire che ha qualche affezione al collo vescicale". Da ricordare che Ippocrate nel suo famoso giuramento proibiva ai medici di eseguite la litotomia (ai tempi procedura chirurgica dolorosa e pericolosa). così facendo lasciava il campo ai "barbieri-incisori", che osavano farlo. Tali personaggi catalogati da Ippocrate come ciarlatani erano in realtà i precursori dell'urologia. Sembra doversi ad Erofilo, intorno al 300 a.C. la prima descrizione anatomica della prostata, da lui definita come prostatai adenoides. Erofilo usò un termine plurale perché riteneva che la prostata fosse un organo doppio in quanto le sue ricerche si basavano su studi sul maschio di scimmia che ha una prostata bifida. Erofilo inoltre aveva anche individuato le prostatae (nella versione in latino) glandulose (probabilmente riferendosi alle vescichette seminali) e le prostatae cirsoides (ampolle seminali e deferenti). Erasistrato III-IV secolo a.C. già formulava consigli per il sondaggio uretrale nei casi di ritenzione urinaria con l'uso di una sonda d'argento. Nella Roma imperiale le ricerche anatomiche vennero proibite dalle autorità, infatti Aulo Cornelio Celso (nel I secolo dopo cristo) nel parlare di ritenzione urinaria nel libro De Re Medica ne attribuisce la causa alla litiasi vescicale (oggi sappiamo che in realtà la litiasi vescicale può essere una conseguenza più che una causa della ritenzione urinaria). Probabilmente anche Aulo Cornelio Celso aveva utilizzato cateteri tipo quelli ritrovati nella famosa "casa del chirurgo" di Pompei risalenti al 50 d.C., tali cateteri sono in ferro e in bronzo, molto leggeri, di vario calibro, costruiti per l'uretra maschile e femminile. uno di essi è lungo 23 cm, 7,5 mm di diametro (corrispondente al nostro ch 22) e forgiato ad "S" italica. Ma il catetere non è stata un invenzione di romani, infatti in mesopotamia nel 3000 a.C. ne era praticato l'uso come documenta un reperto. Anche in una tavoletta babilonese è stato trovato scritto. "Introdurrai un rimedio nel pene con l'aiuto di un tubicino di bronzo". Purtroppo bisogna anche ricordare altri metodi meno raffinati come quello escogitato da Dioscoride (I secolo d.C.) consistente nel far risalire dal meato urinario, lungo 'uretra, delle cimici vive la cui presenza irritante induceva nell'uretra delle violente contrazioni del detrusore vescicale, il che consentiva al paziente di risolvere la ritenzione urinaria. questo metodo era ancora in auge al tempo del re Sole. Areteo da Cappadocia ("De causis et signis morborum" e "De curatione morborum") in Asia Minore nel II secolo invece consigliava di introdurre il catetere in vescica attraverso una piccola incisione della parete addominale, tale metodo trova ancora valida applicazione nei cateterismi vescicali a permanenza a lungo termine come ad esempio nei casi di vescica neurologica. Tale cateterismo sovrapubico permette di evitare la temibile complicanza delle stenosi uretrali secondarie a cateterismi uretrali prolungati, stenosi che usualmente si localizzano a livello del bulbo. Galeno (II secolo d.C.) famoso medico romano e avveduto revisore delle idee dei suoi predecessori, fu il primo a fornire la prova sperimentale, con la legatura degli ureteri nell'animale, che l'urina avesse una esclusiva origine renale. Inoltre individuò nell'ingrossamento della prostata (dette prostatae) una possibile causa di ritenzione urinaria. A lui anche il merito di aver distinto ritenzione ed anuria. Mentre Leonardo da Vinci (1452-1519) nelle sue famose Tavole Anatomiche, quando si occupa di apparato urinario mostra di ignorare completamente la prostata. I suoi studi erano si basati su autopsie, condotte in gran segreto, ma in molti casi Leonardo si limitò ad illustrare le descrizioni anatomiche delle epoche precedenti. Del resto il problema della ritenzione urinaria era quasi esclusivamente pertinenza dei barbieri chirurghi e dei ciarlatani, i quali lungi dal voler dare una spiegazione scientifica al problema badavano unicamente a propinare ai malcapitati pazienti i lori discutibili rimedi nell'illusione di apportare qualche sollievo. Il grande chirurgo francese del 300' Guy de Chauliac nel suo famoso trattato La grande chirurgie (1343) parla dell'estrazione dei calcoli con l'aiuto del catetere (forse un precursore del nostro cestello di Dormia). Andrea Vesalio ( del XVI secolo) contemporaneo di Michelangelo Buonarroti (purtroppo affetto dal male della pietra, cioè la litiasi urinaria, curato con l'acqua di Fiuggi) parla in "De humani fabrica" della prostata ancora come i 2 prostatai di Erofilo. Finalmente a Copenaghen il medico Bartolini (1616-1681) riuscì a fare impiegare il termine prostata nel suo significato odierno. Nel 600 fu Riolano, uno dei medici più illustri della Scuola di medicina di Parigi, tra i primi a sospettare la partecipazione della prostata nella ritenzione urinaria, infatti afferma che "il collo vescicale può essere ostruito da una tumefazione delle ghiandole prostatiche". Anche Gian Domenico Santorini (1681-1737) parla di "un corpo che s'avanza verso la vescica, al punto da ostruirne il collo". Ai tempi però le diatribe scientifiche infervoravano gli animi come ai giorni nostri, infatti un altro medico il Denis verso la fin del 600 negava l'esistenza di tali carnosità in corrispondenza del collo vescicale , tanto da definirle figlie dell'interesse e dell'impostura. A quei temi l'età media era sui 40 anni e pochi individui di sesso maschile arrivavano all'età della prostata. Pertanto l'ipertrofia prostatica era misconosciuta, e sicuramente non aveva l'impatto epidemico presente nella nostra società. Nel 1761 il grande medico forlivese Giovan Battista Morgagni (1682-1771), fondatore della moderna anatomia patologica, nel trattato De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis parla di rigonfiamento della prostata che colpisce i soggetti più anziani Il Morgagni descrive anche la condizione di vescia da sforzo Il trattamento endoscopico della calcolosi vescicale secondaria a ritenzione urinaria contribuì alla fama dell'illustre medico inglese Henry Thompson che operò con successo il re del belgio Leopoldo I. Egli fu anche chiamato dal riluttante Napoleone III (in prigionia dopo la sconfitta di Sedan) nel 1873 cure la sua ipertrofia prostatica e litiasi vescicale. Thompson fu uno dei primi che descrisse l'esplorazione rettale per la prostata, metodica alla quale i medici erano per la verità riluttanti visto che allora non esistevano i guanti. Thompson comunque consigliava di riempire con del sapone l'unghia dell'indice e di ingrassare l'intero dito per impedire che le feci si attaccassero. Comunque anche questa manovra fu motivo di discussioni accademiche, ad esempio il Civiale (1792-1867) la sconsigliava in quanto oltre a non fornire alcun dato utile alla diagnosi fuorviava il medico. Mentre veniva attribuito grande merito al cateterismo esplorativo. il catetere era considerato un prolungamento della mano che esplora. Se la prostata è grossa -diceva- ce ne accorgiamo con il sondaggio. Immaginatevi quante complicanze in epoca pre-antibiotica e con i cateteri di allora. Attualmente la descrizione e la classificazione anatomica della prostata più utilizzata è quella di McNeal del 1970 che si basa su studi anatomici ed istologici di prostata di adulto. Egli descriva una zona periferica , un zona centrale ed un zona transizionale ed infine una zona anteriore. La zona periferica e quella transizionale hanno al stessa origine embriologica dal seno urogenitale, mentre la zona centrale deriva dal dotto di Wolff (o anche chiamato dotto mesonefritico) .

Bibliografia . A Venturini: La prostata, una storia. Edizioni Medi, 1993 . R.Kuss, W Gregoir. Storia illustrata dell'Urologia . EAU.

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